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Stanley Kubrick Production
2001: A SPACE ODYSSEY |
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"...an
epic story of adventure and exploration..."
1965 MGM press release
Da più di trent’anni (ovvero già dall’uscita sugli schermi cinematografici nel 1968) ci si è interrogati su 2001: A space odyssey puntigliosamente, razionalmente, ossessivamente (vestendo per un momento i panni di colui che ne era l’emblema), mai (o quasi) però prendendo in considerazione come motivo centrale e cardine dell’intera discussione da subito il titolo: "A space odyssey", un’odissea appunto, un "epic drama" (per citare uno dei sottotitoli cui uscì accompagnato il film – sottotitolo non sottovalutato e non sottovalutabile conoscendo le cure con cui il regista preparava in tutti gli aspetti la lavorazione del film, prima con la preparazione poi attraverso la produzione ed infine dirigendo personalmente, quasi copia per copia, la distribuzione commerciale) a-temporale e a-spaziale che ha per protagonista Ulisse appunto e, in larga parte, similmente ad uno degli episodi più affascinanti di tutto il poema, Polifemo.
Poiché testimoni del 2001 (o quasi), di un film visto o (ri)visto nel 2001 e quindi di un film di un futuro già presente (come il mirabile, inaccessibile, 1984 di Radford), film che mantiene ancora intatta la sua modernità, possiamo comprendere la grande intuizione di Kubrick, le sue paure (Fear) e le sue ansie (Desire).
Una storia che difficilmente già da subito (con i vocaboli "space" ed "epic") rientra nella canonica definizione "di genere", mettendo in risalto un contrasto che piuttosto paradossalmente, come nota correttamente Annette Michelson, è affrontabile scegliendo una via più nascosta, quella del genere avventuroso e non del fantascientifico.
E se la fantascienza, proprio perché "esitazione che prova l’individuo che conosce soltanto le leggi naturali di fronte ad un avvenimento apparentemente soprannaturale", di 2001 per Ciment consiste nello "shock fra il reale e l’immaginario che esclude il meraviglioso in cui niente sorprende o sconvolge", quella di Campari (e di Ghezzi) consiste, proprio perché lo stesso Kubrick ha dichiarato che gli intenti erano soprattutto mitologici, nel fatto che dopo il 1968 (anno di uscita nelle sale di 2001) "tutta la fantascienza cinematografica futura terrà conto di 2001 che nel genere dunque finisce per rientrare come prototipo o come modello".
Risulta quindi essere piuttosto un pretesto per svolgere un discorso che interessava al regista profondamente (e questa è una lettura che rimane perfettamente coerente anche per tutti gli altri lavori realizzati da Kubrick e parallelamente alla scelta della fantascienza per 2001 possiamo notare ad esempio quella che frettolosamente possiamo catalogare come genere giallo-horror per Shining).
Con 2001 : Odissea nello spazio, Kubrick ha combinato un archetipo mitologico (il Viaggio) con una visione del futuro prossimo che nell’uomo è "da conquistare".
Si tratta di un’avventura ambientata appunto nel 2001 ("1000 in Arabia significa ciò che non è numerabile, e 1001 evoca l’infinito, come nei celebri racconti…voleva dire porsi al di là di quel crollo della civiltà di cui si era finora il nero illustratore") ed è interessante notare come già nel 1965 (all’inizio della stesura in forma scritta della sceneggiatura e tre anni prima della proiezione ufficiale) Kubrick avesse già estremamente chiaro come per noi uomini "moderni (fra il 1968 e il 2001) il senso di mistero e di lontananza riguardo allo spazio fosse rimasto inalterato nei termini che potevano avere le enormi distese (questa volta del mare) per i Greci; d’altra parte le distanti isole su cui erano gettati i personaggi di Omero non erano a loro meno remote dei pianeti su cui presto gli astronauti sarebbero sbarcati (l’atterraggio lunare sarebbe avvenuto l’anno dopo l’uscita nelle sale cinematografiche di 2001).
Evidentemente piuttosto che una semplice riduzione del "plot" del poema di Omero, Kubrick procede a variazioni sui temi principali, facendo sì che si possa vedere l’uomo a differenti livelli circa uno stesso aspetto, similmente a "come si opera per testare il punto di fusione dei metalli".
Sempre tornando ad una questione di "genere" è da notare come gli ominidi temano ciò che rimane nascosto nell’ombra.
Potremmo allora considerare la sequenza dell’alba dell’uomo come il primo (o zero) film dell’orrore, o meglio, l’ultimo, poiché Kubrick fredderà oltre venti anni più tardi un secolo di genere (quello horror) riassumendolo con la luce dei settecentomila watts impiegati per illuminare il set di Shining, usando per la prima volta non le luci di taglio com’era appunto abitudine fino allora, ma concependo la luce come luogo dove nasce la paura.
Le paure, come tutti gli altri elementi d’inquietudine sono figli legittimi della nostra situazione, del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Non è la tecnologia in quanto tale (o meglio, non solo la tecnologia) a provocare una "mutazione antropologica" bensì questa è figlia di un’attività umana e come tale non è da considerarsi causa ma sintomo della trasformazione che ci avvolge.
Il mostro contemporaneo (Hal insomma) è geneticamente più complesso del mostro classico o medioevale (poiché sintesi di due sistemi non tanto separati quanto piuttosto autonomi) e rimane naturalmente una "meraviglia". Nel mondo classico il mostro è una creatura naturale, uomo o animale, frutto della restrizione o dell’ipertrofia di certi organi, di parti di corpi naturali.
Sarà il gigante narrato e tramandato fino ai nostri giorni da quella iconografia tanto esemplare da sostituire pressoché il personaggio stesso dell’episodio omerico facendoci perdere di vista, grazie all’assoluta e fascinosa unicità del suo aspetto, cosa esso stesso rappresenti per noi moderni, sia nella parabola narrata da Omero, che in quella successiva visionariamente ricreata (in un registro che voleva tendere alla non-verbalità) da Kubrick.
Se dunque pochi, fra cui l’immancabile Michel Ciment, hanno solo sfiorato la questione qui ed ora cercheremo di riassumere ed esplicare partendo da una certa serie di analogie, come il capolavoro di Kubrick sia percorribile parallelamente al IX libro di Omero. Se tali riflessioni ci porteranno un poco più in là, ci mostreranno come, di fatto, quello dell’astronauta Bowman non sia solo un "ultimate trip" ispirato dall’intreccio generale dell’antico poema (espresso, potremmo ora dire, "limitatamente" già nel titolo) ma come rifletta una serie di evidenti (e inevitabili) considerazioni più profonde e che producono in ultima analisi nuove e "moderne" esperienze vissute nell’episodio omerico da Ulisse e solo ora riprese, definitivamente, in ottica moderna, allora tanto meglio.
ODISSEA ZERO
Odisseo salpa da Troia dopo la guerra, naviga con il suo equipaggio e si perde. E’ un famoso arciere e uno dei primi eroi a vivere grazie tanto alla sua intelligenza quanto alla sua forza fisica. Attraverso varie avventure incontra i Ciclopi, Circe, le Sirene, uccide Scilla e Cariddi.
Moonwatcher (la scimmia-capo) lascia l’Africa dopo la prima guerra, lancia il suo utensile-arma nello spazio ed evolve in Floyd per l’episodio del viaggio sulla luna.
Floyd entra nella grotta del ciclope (dentro alla stazione lunare), compie una battaglia contro i russi resi ciechi dalla disinformazione, naviga con il suo piccolo equipaggio verso il cratere di Tycho, ascolta il canto-sirena del monolito e presumibilmente trova la via per casa. Bowman e Poole, i suoi figli spirituali, viaggiano attraverso il mare interplanetario, chiusi nella grotta del ciclope Hal.
Poole vive "fisicamente", corre, tira di boxe.
Bowman vive "mentalmente", disegna, gioca a scacchi. Successivamente Bowman perde il suo equipaggio ucciso dal Ciclope e risponde al canto-sirena del monolito, attraversando i luoghi desolati di Scilla e Cariddi naufraga nell’isola-hotel, diventa vecchio, rinasce e ritorna in patria (quest’ultima parte si conserva nel libro di Kubrick e Clarke).
Dell’Odissea di Omero Kubrick sembra abbia selezionato lo sviluppo narrativo degli eventi principali (la battaglia finale/iniziale della guerra di Troia, il viaggio da/verso casa, l’accecamento del Ciclope, la sopravvivenza solo a Scilla e Cariddi, il naufragio sull’isola di Circe e il ritorno finalmente a casa (nell’ultima parte, all’interno della camera dell’hotel settecentesco).
La sequenza dell’alba dell’uomo può venire letta come il prologo dell’Odissea che troverà, in termini bellici e di violenza, il suo apogeo nella guerra di Troia: due tribù combattono per il diritto di una pozza d’acqua fino a che gli dei daranno a una delle due la supremazia.
Tutti i film di Kubrick sono fondati su rapporti di forza (e qui 2001 ne è la sintesi), di autorità di potenza sessuale; la contemplazione dell’evoluzione della tecnica e della società (svolta con un mirabile distacco) per K. è lo specchio della paure della incontrollabilità, sia essa tecnologica sia sessuale.
LA TECNICA
L’evoluzione è posta contro il volere degli stessi personaggi, difficilmente nominabili come protagonisti (sono piuttosto delle pedine poste di fronte ad ostacoli più grandi di loro) e prende sempre i passi da un'unica mossa.
Unica sia per quanto riguarda Ulisse sia per Bowman.
Il braccio di Ulisse che è modello e misura del palo di legno che, arroventato, accecherà (e ucciderà) Polifemo.
Il braccio della scimmia che con l’utilizzo come arma mortale dell’osso (di un braccio?) segna il primo salto temporale figlio del primo passo evolutivo della tecnica.
Tecnica di morte certo.
Il braccio di Bowman che chirurgicamente opera l’organismo di Hal e che disinnesca l’ormai impazzito elaboratore.
Ulisse costruisce su di lui l’arma che utilizzerà contro il Ciclope (misurando la lunghezza del palo con l’estensione delle braccia), palo come protesi, prolungamento dell’arto umano (e in questo senso il prolungamento di quello della scimmia è esemplare: lo stesso arto dell’animale allungato da un osso) e prima mossa della tecnica.
La trasformazione dell’osso in astronave conclude, il prologo ("nel flashforward più lungo della storia del cinema") e dà il via all’Odissea.
"L’occhio è solo spaziale, tutti gli altri sensi sono temporali"
Novalis, frammento 625
Una volta esaurito questo aspetto ne nasce subito un altro: perché vince Ulisse, come e perché Ulisse riesce a uscire (e Bowman ad entrare) dalla grotta?
Anche per noi non è tanto importante, come invece lo era per Adorno e Horkheimer, il gioco linguistico, il trucco del nominalismo, bensì è per noi vitale, come, di fatto, Ulisse e Bowman riescano entrambi a fuggire e a salvarsi chi da Polifemo e chi da Hal. Fuggire e percorrere un’odissea per avere accesso alla propria evoluzione: riappropriandosi l’uno della propria leadership, l’altro eliminando l’ultimo ostacolo prima di poter percorrere un’ulteriore (perché non di questo mondo) dimensione (oltre lo spazio creato dal suo predecessore omerico, eccedendolo con la sua modernità) verso l’estrema, inevitabile e necessaria evoluzione (secondo passo dopo il primo compiuto da Ulisse, fautore della prima tappa dell’evoluzione della tecnica con la costruzione del palo d’ulivo).
Come ha già notato Ciment, Bowman (uomo moderno) non può avvalersi dell’evoluzione grazie al mero utilizzo della tecnica, o meglio non solo. Attraverso la tecnica riesce solamente a compiere alcuni stadi di evoluzione (fino a creare Hal, fino a poter riprodurre lo stesso Uomo, addirittura migliorato, scevro da legami a un corpo mortale: "Menti, non corpi! I corpi immortali rimanevano laggiù sui pianeti, come sospesi al di sopra del tempo ... L’Uomo rifletteva fra sé e sé, perché in un certo senso, mentalmente, l’Uomo era unico... Materia ed energia erano terminate e, con esse, lo spazio e il tempo"). Ma per raggiungere l’ultima tappa deve essere capace e consapevole di liberarsi della tecnologia, uccidendo, in modo violento.
Il "tappo" che blocca l’uscita della grotta è il problema critico e il luogo dove nasce lo spazio che inventa, o che riscopre, Ulisse. Polifemo sa benissimo che l’unica occasione che hanno Ulisse e il suo equipaggio di fuggire è di mattino, quando il gigante fa uscire il gregge dalla grotta.
Ulisse lega i compagni alle pecore, sotto la loro pancia. Lui stesso, non potendo essere legato da nessun altro si aggrappa al pelo del montone più bello. Conoscendo Polifemo l’unica possibilità di fuga dei suoi aggressori, tasta una a una le pecore e non sente nulla di particolare.
Le accarezza sul dorso per "vedere" che non vi fosse un uomo sopra a cavalcioni.
L’ariete, il capo del gregge che portava Odisseo, non guida gli altri animali come abitudine e indugia presso l’entrata della grotta.
Alla fine però il gigante fa uscire anche lui.
Polifemo non si accorge di nulla poiché per lui non esiste lo spazio, secondo il Ciclope cioè ciò che sta sopra controlla e sta per ciò che si trova sotto.
Non tocca insomma la pancia delle pecore perché lo ritiene superfluo, non può concepire in altro modo il mondo se non come gerarchie di funzioni; con questa invenzione il mondo del Ciclope non è annullato bensì Ulisse salta la fondamentale coincidenza fra posizione e funzione.
Lo spazio in qualche modo inventato, creato, da Ulisse è percorso interamente dagli astronauti della Discovery, anche materialmente certo: più volte li vediamo alle prese con evoluzioni a testa in giù, schiacciati, portati (loro malgrado) a conoscere fino in fondo le estreme conseguenze della scoperta di Ulisse, in funzione dello scoprirne a loro volta una quarta, come è possibile riconoscerlo nel viaggio "oltre Giove e oltre l’infinito".
Tale viaggio porterà con sé anche la vita di Bowman e la dimensione geometrica che si spalancherà di fronte all’astronauta era già stata preannunciata sfociare, quindici anni prima del film, da Smith Cordwainer nella più radicale delle mutazioni: "… là, in qualche angolo dello spazio esterno, stava in agguato una morte atroce, una morte e un orrore che l’uomo non aveva mai incontrato fino a quando non si era avventurato nello spazio interstellare...".
Di nuovo: la realtà contorta, unicamente "retta" (non ancora spaziale) ma retta come, paradossalmente, è mostrata agli spettatori con il percorso su cui corre Poole, è esclusiva e unicamente propria del calcolatore, l’immagine riflessa nel suo occhio (e quelle dentro al suo occhio) è distorta, priva della terza dimensione spaziale che Bowman stesso eccederà nell’ultimo viaggio.
Spazio che si apre alle astronavi privo di alcuna misurazione, perché nero, perché privo di punti di riferimento e di coordinate.
La penna che fluttua nella cabina dell’astronave (come nota Michelson) ci ha già rilevato che ci troviamo in condizioni di assenza di peso ma il fatto di avere, nell’esperienza quotidiana, come termine di riferimento (e paragone) il nostro corpo, quel segnale non era ancora sufficiente ad informarci e prepararci alla sospensione di quelle coordinate.
Il movimento, questo agire nello spazio non è dato né insito in noi ma si acquisisce e si sviluppa nel tempo e "ristabilire la nozione dell’equilibrio come processo" è fondamentale e di prima importanza per affermare come 2001 sia, di fatto, un film d’azione pur, come è noto, essendo stato sempre considerato "un film dove non accade nulla".
L’azione è fondata sul movimento, sul "balletto" degli astronauti che richiama quello del balletto e della danza contemporanea.
Di più: in questo nero il "nuovo mostro" ha nuovamente un suo spazio, un habitat a lui congeniale; questo luogo non è più definito, come ci si è accorti anche con il paesaggio, attraverso una cosmografia ordinata. L’"ordine divino della creazione" è spezzato, il mostro nello spazio uguale e uniforme ha un controllo totale e ci deve essere la necessità di abolire questo nuovo caos.
L’uomo insomma non è più misura delle cose (come Ulisse quando misura e fabbrica il palo d’ulivo), non più unità di misura e punto di riferimento posto per discernere l’ordine dal disordine.
Se inoltre è vero che "il pensiero mitico, anteriore alla geometrizzazione dell’universo fisico, non concepisce -ancora- il mondo in termini di posizioni, di distanze, di movimento, ma soltanto come una gerarchi di funzioni, di valori, di ranghi, non sulla base di scale di misura, ma di gradienti di autorità, di dignità, di dominio, di sottomissione...", nulla meglio di Hal sembra descrivere e illustrare questa volontà e questa ossessione (mischiata di consapevolezza - dettata dalla superbia-) di controllo (la partita a scacchi con Poole) e di sottomissione (la conversazione con il giornalista della BBC).
E’ da notare anche che l’uomo rischia costantemente (nel 2001) di essere estromesso dai viaggi interstellari: nulla, infatti, come l’immensità dello spazio rivela la debolezza e la precarietà dell’essere umano. Sembra proprio che Hal questa considerazione l’abbia già formulata e che sappia perfettamente che l’aiuto della macchina (con la sua straordinaria capacità di calcolo e di controllo dei processi) sia la via obbligata per l’esplorazione dello spazio.
"L’occhio è lo specchio dell’anima"
Leonardo da Vinci
"Siamo dei naufraghi votati alla morte".
Uccidere per non morire, per tardare a morire (e qui, evidentemente, l’istinto di sopravvivenza è quello delle scimmie, inalterato, quasi fosse l’unico vero, sempre mostrato, ancor prima del sentimento di amore e tenerezza, unicamente percepibile laddove si parla di "sopravvivenza" della vita, come durante la straziante morte di Hal).
"Dave. Stop. Stop. Will you. Stop, Dave. Will you stop, Dave. Stop, Dave. I’m afraid. I’m afraid, Dave. Dave. My mind is going. I feel it. I feel it…Daisy, Daisy, Daisy, give me your answer, do…I’m half crazy…".
Con una fra le più drammatiche (e rare) scene di commozione che possiamo trovare lungo tutti i lavori di Kubrick, Hal viene escluso e destinato a manifestare la propria più profonda, natura: quella irrazionalità che esplode tragicamente nella nenia della canzoncina insegnatagli "da piccolo", regredendo "all’età dell’infanzia" in una sorta di "spappolamento" ed eliminazione del linguaggio
"L’occhio non vede altro che l’occhio"
Novalis, frammento 118
Bowman, astronauta che si trasforma in se stesso diverso nel tempo e nella Storia, dopo aver raggiunto la meta, volgerà lo sguardo verso la M.D.P., creando una nuova macchina all’inverso, che guarda dentro al cinema e non più "fuori", passando il testimone di questa storia, per la prossima tappa della staffetta.
E’ l’occhio, sempre presente e sempre nascosto nei film di Kubrick (fino all’ultimo, spudorato, inseguito da trent’anni Eyes Wide Shut), qui ingrandito a tutto campo, a tutto fotogramma, unico (monoculare come Hal, come Polifemo) spazio del cinema di Kubrick che si dilata e si restringe come il cinema "preistorico", come l’archetipo del cinema, il diaframma vivente, la visione come fotografia.
Una visione monoculare che fino allora era esclusiva del calcolatore. Kubrick sembra anticipare con non poco anticipo l’idea contenuta nella celebre cura Ludovico.
L’occhio (eye) di Bowman, allargato, dilatato (wide) fino all’eccesso ricorda quello terribile e comico, agonizzante, occhio graffato, tenuto aperto a forza (anche allora coloratissimo) del drugo Alex.
Non sembra apparentemente esserci possibilità di vedere (guardare) altrove, nemmeno di accecare.
Occhio che non è altro che specchio. Nell’occhio, come nella bidimensionalità monoculare di Hal si riflettevano gli astronauti schiacciati (shut), inversamente, dovremmo vedere noi stessi con le palpebre aperte (ancora, inevitabilmente, wide).
Specchio che mira a consegnarci una visione fotografica di ciò che vedremo.
L’ossessione che Kubrick racconta è sublimata in questa immagine, nell’ossessione sempre rovesciata: lo scacco, sempre, il fallimento del controllo, tutto è rovesciato come all’interno della macchina fotografica.
La "compostezza" dell’occhio di Hal è significativa sotto diversi aspetti: sono sue e solo sue le uniche due o tre soggettive in più di centotrenta minuti di pellicola (a parte, forse, l’occhio-diaframma di Bowman); punto di vista distorto da un’estrema lente a grand’angolo (wide-angle lens), colorata di rosso come il più soggettivo possibile dei punti di vista.
Sia per Ulisse sia per Bowman procedere alla uccisione dei rispettivi antagonisti non è cosa semplice e l’intero percorso che utilizzano è significativo.
Bowman dovrà recarsi nel ventre di Hal e disinnescarlo da solo. Poole è morto, morti sono gli altri astronauti.
E qui c’è un altro importante segnale: tutti i personaggi che troviamo all’interno di 2001 hanno una precisa e notevole conoscenza tecnica delle apparecchiature che li circondano.
Hal, possessore di innumerevoli miracoli tecnologici non è in grado di sostituire l’elemento andato in avaria, quell’elemento AE-35 (Alpha Echo Three Five, alpha come la prima lettera dell’alfabeto, Echo come l’idea del doppio, e trentacinque come gli anni fra la lavorazione del film e il 2001) che indirettamente apre, con le parole di Hal: "Just a moment, just a moment", l’ultima fase del film.
La missione necessita dell’intervento di Poole (e quest’ultima operazione costerà la vita all’astronauta); questo scarto (ce ne sarà un secondo più avanti), prima di giustificare la scomparsa della scena di Poole, ci permette di vedere ancora una volta come tutti e due gli astronauti siano a conoscenza del funzionamento degli utensili, come del resto sia i russi che il dr. Floyd incontra presso la base spaziale e tutte le persone (poche) che incontriamo durante il film.
Come Ulisse costruisce su se stesso l’arma con cui accecherà il gigante, prima Poole e poi Bowman utilizzano il braccio-scimmia, simbolo ormai codificato della caduta del Ciclope. La trasformazione dell’osso in astronave conclude, come si è già accennato prima, il prologo e dà il via all’Odissea, mostrando come la tecnologia usata dall’uomo sia nata dalla scoperta dell’utensile-arma, come "ci sia una profonda relazione emozionale fra l’uomo e le sue macchine-armi, che sono i suoi figli".
La macchina stava "cominciando a imporsi in un modo molto profondo, anche suscitando effetti di affetto e ossessione."
Di più: si parlava prima di Bowman come non-protagonista di una storia possibile e segnata probabilmente dalla "…struttura scintillante…alta il doppio di un uomo…", segnale, "sentinella", di tutti i salti temporali (e tecnici) contenuti nel film. Come nota correttamente Ghezzi sia all’interno della dimensione geometrica (circolare) del mito del Ciclope sia di quella (di nuovo curva, tracciata dalla comparsa ogni volta del monolito) ricreata nel film, viene ad aggiungersene un’ulteriore: "quello della decisione umana di percorrerlo (di andare verso Giove) ".
Questa decisione "personale" la ritroviamo simmetricamente operata da Ulisse che pianifica ed esegue l’accecamento del Ciclope (come Bowman che non solo attua l’eventualità discussa con Poole all’interno dell’unità a loro insaputa controllata dal calcolatore, ma anche intraprende il viaggio oltre Giove, attraverso una personalissimo tragitto che prima della rinascita lo porterà a incontrarsi nel camera settecentesca).
Fra i valori che si trovano diametralmente opposti nei due testi troviamo fra gli altri come lo scopo fondante e fondamentale di Ulisse sia quello del ritorno in patria mentre quello di Bowman sia la missione, di come quindi l’azione di Ulisse sia in qualche modo centrifuga mentre quella di Bowman centripeta, tutta proiettata all’esterno. Un altro aspetto è quello riscontrabile analizzando come nel poema omerico Ulisse debba uscire dalla grotta per realizzare il suo fine (l’annientamento del ciclope e il ritorno in patria) mentre Bowman debba (ri)entrare nell’"astronave madre" (quasi a sottolineare che il nostro mondo, fatto di segni, è legato indissolubilmente, con un cordone ombelicale, alla grotta del Ciclope) dopo l’uccisione di Poole, dopo essere stato chiuso fuori da Hal e l’unica via possibile resta essere quella dell’"inganno" o comunque dell’astuzia (come Ulisse si aggrappa sotto l’"enorme ariete", pure Bowman privato del suo casco spaziale si inventerà una via d’entrata "catapultandosi" all’interno della Discovery).
L’uomo moderno costruisce le stesse grotte e ci vive come domicilio forzato, adattandosi alle loro macchine. Bowman e Poole (tornano) a combattere contro il Ciclope, uno dei due vincerà accecando la bestia dopo aver dimenticato l’elmetto e aver visto con entrambi gli occhi (ragione e passione), indirizzando la sua furia verso Hal. L’uomo moderno circonda di mura l’ignoto allo stesso modo di come lo esplora, nessuno nel film guarda fuori dai "finestrini" per vedere dove sono diretti a parte naturalmente i piloti. La maggior parte dei veicoli possiede finestre piccolissime o addirittura inesistenti (per non parlare delle piccole navette della Discovery), e quando Floyd utilizza il videotelefono ignora completamente la terra che ruota oltre il vetro.
Il complotto di Poole e Bowman rivolto contro il Ciclope avviene all’interno di una navetta che risulta essere una "grotta in una grotta". Queste capsule sono anche simili alle pecore del gregge del Ciclope che i compagni di Ulisse (dietro a suo comando) si servono per uscire dalla grotta. Contrariamente al comportamento del Ciclope omerico, Hal non vuole mangiarli ma espellerli.
Del resto l’isolamento operato dai due "mostri" prima di essere accecati (e quindi uccisi) è sempre percorribile parallelamente: il Ciclope ucciderà prima di Ulisse (dicendogli esplicitamente: "Nessuno io mangerò per ultimo, dopo i compagni; gli altri prima; questo sarà il dono ospitale") alcuni suoi compagni, Hal prima di Bowman il resto dell’equipaggio ibernato e poi Poole.
Altro elemento è quello del sonno. Se nell’episodio del poema con lo scontro con il gigante abbiamo la prima descrizione occidentale dell’insonnia, con Bowman e con tutto il narrato di 2001 non vediamo mai gli astronauti dormire o occupati in altre cure personali eccezion fatta per il pasto (di cui ci sarebbe da tenere un lungo discorso a parte).
Questo sembra perfettamente calzare con l’atmosfera di assoluta rapidità cui soggiacciono gli eventi specialmente dopo che la vita degli astronauti smette di essere regolata da quella aura di morte e malinconia annunciata dalle note di Katchaturian. Anche la caverna dei ciclopi è evidentemente un luogo di morte.
Torniamo da dove siamo partiti.
Probabilmente Jack Torrance in un’ipotetica conversazione (rigorosamente presso l’Overlook Hotel, evidentemente) avrebbe potuto illuminarci sul binomio intelligenza-follia di Hal. Con altrettanta presunzione possiamo immaginare che pure il soldato Joker avrebbe potuto dirci qualcosa circa il significato del monolito ("archetipo junghiano").
Forse solo Eyes Wide Shut potrà rivelarci definitivamente il significato per questo regista dell’occhio. Dell’occhio di Polifemo. Dell’occhio di Hal.Evidentemente il testo omerico non ci dice di che colore sia l’occhio del gigante, sappiamo però che quello dell’elaboratore Hal 9000 è rosso.Rosso fuoco. Occhio già incendiato, destinato a morire. Giallo al centro, come può esserlo solo un emblema solare (come appunto lo sono oltre a Polifemo, Baal, Moloch, Tesup, tutte divinità cui venivano offerti corpi umani) ma soprattutto rosso.
Rosso come la red(room) 237, rosso come il sangue dell’assassinio, fluido sempre celato in 2001, così evidente in "Shining", rosso come la follia, la furia, la paranoia di una visione distorta e che distorce e che vede, solamente, rosso. E’ inevitabile comprendere che mai come in questa opera la fantascienza è destinata ad assumere il ruolo non anticipatore o di misterioso oracolo dotato di risposte, bensì come sia interamente compresa in quel punto interrogativo della citazione iniziale del "divino Edgar".
"Hal, ti ho detto smettila. Ma quando mai
una scimmia, per quanto organizzata,
parente discendente in IBM,
dispone la rottura dello spazio
a proprio piacimento. Per piacere,
Hal, lasciaci un margine minuscolo
di arbitrio, un grammo di cometa, un quasi
niente: ti dico che ci serve, Hal,
per la miseria…"
Luca Ragagnin
Fabbriche Lumière
Bibliografia:
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Bizony, Piers, 2001: Filming The Future, Aurum, London 1994
Brunetta, Gian Piero (a cura di), Stanley Kubrick: tempo, spazio, storia e mondi possibili, Pratiche Editrice, Parma 1985
Caronia, Antonio, Il Cyborg, Edizioni Theoria, Roma-Napoli 1991
Ciment, Michel, Kubrick, Milano Libri Edizioni, Milano 1981
Clarke, Arthur C., 2001: Odissea nello spazio, Longanesi, 1969
Clarke, Arthur C., La sentinella, TEA DUE, Milano 1995
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Gelmins, Joseph, The film director as superstar, Doubleday, New York 1970
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Ghezzi, Enrico, Paura e desiderio, cose (mai) viste, Bompiani, Milano 1996
Ghezzi, Enrico, Stanley Kubrick, Il Castoro, Milano 1998
Graves, Robert, I miti greci, Longanesi, Milano 1998
Horkheimer, M., Adorno, T., Dialettica dell’ Illuminismo, Einaudi, Torino 1996
Kubrick, Stanley, Stanley Kubrick, Ladro di sguardi. Fotografie di fotografie 1945-1949, Bompiani, Milano 1994; prefazione di Enrico Ghezzi
Leroy, Gourhan Andrè, Il gesto e la parola, Einaudi, Torino 1977
LoBrutto, Vincent, Stanley Kubrick: A Biography, Donald I. Fine Books, New York 1996 (ora in Stanley Kubrick, L’uomo dietro la leggenda, Il Castoro, Milano 1999)
Martel, Mark, Another Odyssey: Design and Meaning in 2001
Munday, Roderick, Thoughts on 2001
Omero, Odissea, Mondadori 1998
Todorov, Tzvetan, Letteratura fantastica, Garzanti 1983
Zimny, Claudia, "2001: A Space Odyssey; The Voyage Motif as a Symbol of Man's Course of Life and Development as depicted in Stanley Kubrick's Science-Fiction Film from 1968", Senior seminar of American Studies at Duisburg University, Germany
Testo a cura di Claypool@tin.it
Questa nuova sezione riguardante 2001: Odissea nello Spazio e' solo agli inizi. La sezione verra' ampiata prossimamante con immgini, testi e commenti...